Che le origini del Tarantismo siano da attribuire a Taranto e dintorni lo attestano molti scritti antichi, in particolare quelli dei viaggiatori stranieri che soprattutto nel Settecento e nell’Ottocento, nell’ambito dei loro “tours” nel Meridione d’Italia giungevano nella nostra città, e che avevano la preziosa abitudine di lasciare appunti, annotazioni, lettere a testimonianza delle loro osservazioni e delle loro ricerche. La più antica testimonianza risalente attorno alla seconda metà del Cinquecento, è quella di Nicolas Audebert, francese, poeta e consigliere al parlamento di Bretagna, ricco borghese d’Orleans. “La Tarantola è più comune in Puglia che in nessun altra località e principalmente dalle parti della città di Taranto, donde ha preso il nome, perché durante tutta l’estate nei campi ce ne sono un’infinità.” La trattazione di Audebert riguarda anche gli effetti della puntura dell’insetto che sono tra loro molto diversi per due cause: – la diversa qualità del veleno dell’insetto; – la diversa temperatura e il diverso umore delle persone punte.
La descrizione ci parla del fatto che la puntura può provocare il canto o le grida incessanti;
il pianto, il riso, il sonno o l’insonnia. Alcuni hanno mal di testa e vomitano, altri fuggono, altri ancora tremano. Alcuni sono appesantiti e abbattuti, altri vogliono soltanto saltare e danzare. C’è poi chi è in preda a passioni diverse come frenesia, rabbia, furia. Chi grida di dolore, chi invece rimane placido, quasi insensibile.
Sta di fatto, afferma Audebert, che le persone malinconiche sono le più tormentate delle altre e cambiano d’ora in ora gli effetti delle loro passioni diverse. Altre testimonianze poi attestano che il morso di questo aracnide non produca alcun sintomo, ma tutto sia solo frutto dell’abitudine, dell’immaginazione e della suggestione; e la danza sarebbe né più né meno il ballo ordinario del paese, come ogni contrada ne ha uno speciale: in Germania il Ballo Svevo, in Provenza il Rigandon, il Fiascone in Toscana, le Contradanze in Inghilterra o il Fandango in Spagna. Le credenze popolari, affermando che il morso velenoso della tarantola provoca una profonda malinconia, che finisce talora con la morte e da cui si può guarire soltanto ballando violentemente, sottolineano pure che l’ammalato comincia a ballare solo quando il suonatore ha trovato quella melodia che agisce su di lui. Dunque la stessa melodia non va bene per tutti.
Inoltre quando l’ammalato, dopo essere guarito, avesse riascoltato questa melodia, avrebbe avvertito con la stessa forza e le stesse convulsioni il bisogno di riprendere a ballare. Molti credono che gli ammalati fingevano di essere in quelle condizioni, tuttavia a riprova di ciò, le fonti ricordano che il rimedio della musica era abbastanza costoso, almeno un ducato al giorno per i suonatori, oltre alle cure del medico, e calcolando anche che il malato ballava dai 4 ai 7 giorni. Inoltre per le ragazze era sconveniente farsi vedere in quello stato per la loro futura sistemazione, è per questo che le famiglie del ceto elevato cercavano di nascondere alla gente la conoscenza di un simile caso. In più si credeva di recare offesa a una ragazza colpita da Tarantismo, e che aveva ballato per guarirne, suonandole sotto la finestra (la serenata) i ritmi atti alla sua guarigione. Un documento ci fornisce anche la descrizione di come avveniva la danza della “Pizzica-Pizzica”. Una donna comincia a cariolare da sola, dopo qualche istante getta un fazzoletto a colui che il capriccio le indica, e lo invita a ballare con lei. Lo stesso capriccio le fa licenziare questo e invitarne un altro, poi un altro ancora, finché stanca non va a riposare. Così sta al suo ultimo compagno il diritto di invitare altre donne. Il ballo continua in tal modo. Nessuno può rifiutarsi di ballare né per la sua inesperienza, né per la sua grave età, né per qualsiasi altro motivo, perché un dovere di consuetudine lo obbliga a farlo. Per quanto riguarda il rituale, infine, possediamo una testimonianza: la paziente vestita di bianco, incoronata di pampini e nastri, con la spada in mano, era condotta in cerimonia su una terrazza dai suoi più cari amici; poi con la testa piegata tra le mai restava seduta per un po’ di tempo, mentre i musicisti cercavano di accontentare i suoi capricci e i suoi gusti con i loro accordi. Come colpita all’improvviso da una melodia, d’un tratto la malata si alzava e pian piano uniformava i suoi passi al ritmo della musica. I musicisti allora acceleravano il tempo e la malata ballava finché le forze glielo permettevano invitando un ballerino dopo l’altro, bagnandosi spesso il viso di un’acqua ghiacciata che prendeva da un vaso posto a portata di mano. Infine quando sfinita voleva rinviare la festa al giorno dopo, si versava addosso un intero secchio d’acqua. Immediatamente le sue compagne si affrettavano a spogliarla e a metterla nel suo letto. Durante questo tempo gli altri invitati aspettavano, divorando un sostanzioso pranzo sempre pronto per la circostanza.