I turisti la guardano e non sanno quale posata utilizzare per mangiarla e provano a sgranocchiarla come un biscotto; i settentrionali si interrogano da quale lato iniziare a morderla; i meridionali osservano divertiti mentre hanno addentato già l’ultimo pezzo.
La “Frisa”
La leggenda vuole che le prime frise fossero state importate direttamente da Enea quando sbarcò in Puglia. Certo è che sono un alimento tradizionale consumato da secoli nella regione.
Nacque come piatto povero, fatto solo di farina d’orzo (allora meno pregiata di quella di frumento) e consumato dai contadini e dai marinai. Si dice fosse uno dei piatti che i contadini preparavano per i Cavalieri templari che partivano per le crociate in terra Santa.
Le frise dovevano mantenersi a lungo e resistere a lunghi viaggi, per questo subivano una doppia cottura e poi venivano impilate facendo passare un filo nel buco come a formare una collana.
In passato le friselle venivano ammollate con acqua di mare (già salata) e mangiate con un pomodoro spremuto sopra. Oggi oltre al pomodoro vengono aggiunti anche altri ingredienti tipici del Sud Italia: olive leccine, carciofini, peperoni, rucola, filetti di tonno o di acciughe e così via.
Le friseddhe potevano essere preparate e conservate per mesi nelle “capàse”, i tradizionali orci panciuti in terra cotta dal collo largo e le piccole e robuste anse.
L’impasto, costituito da farina, acqua e sale è del tutto simile a quello del pane ma con un 10 % in meno di acqua. Una volta cotte, vengono estratte dal forno e spaccate in due secondo l’asse mediano, orizzontale, che deve garantire un’accentuata rugosità nella parte tagliata. Secondo la tradizione, veniva utilizzato uno spago, cingendo le friselle e tirandone i capi, oppure utilizzando una sorta d’archetto rudimentale, attrezzato di un filo di ferro rugoso.
Il consumo delle friselle è soprattutto estivo, quando vanno a costituire un piatto fresco e facilmente digeribile. L’uso canonico, consiste nel bagnarle, incoronarle con i pomodorini freschi locali cospargerle di origano (Origanum eracleonticum), di sale e infine nell’allagarle o quasi d’olio di frantoio.
Sembrerà strano, ma la riuscita non è sempre garantita. Facile infatti dire bagnare e condire, ma come si bagna una friseddha doc? Alcuni la profanano direttamente sotto il rubinetto, altri la pongono in una ciotola e la sommergono di acqua, altri, la bagnano a rate con piccole, timide mestolate d’acqua. Il risultato è sempre diverso!
Vi suggeriamo ora un preciso protocollo per eseguire questa operazione a regola d’arte: per prima cosa bisogna porre in tavola una ciotola con acqua preferibilmente fresca, poi, dopo essersi muniti di fondine, bisogna afferrare le friseddhre con tre dita, con la parte rugosa sopra e calarle e cacciarle velocemente per tre volte dall’acqua della ciotole, quindi porle nella fondina sul cui fondo, badate bene si è proceduto a versare un mestolino della stessa acqua e solo allora si può procedere al condimento.
Provare per credere!