All’inizio del ‘900 venivano vendute sotto banco nelle strade di Parigi. Gli scatti erano considerati scandalosi e illegali e per ovvi motivi l’identità delle modelle era sconosciuta, in gran parte reclutate fra le prostitute di strada o nei bordelli.
La maggior parte delle cartoline erotiche di inizio ‘900 furono prodotte in Francia, riscuotendo molto successo, e venivano vendute con molta discrezione dai commercianti francesi nei negozi e per le strade. Sebbene fosse illegale spedirle per posta, divennero popolari come “French Postcard”, le cartoline francesi.
“Una volta intravedere le calze di una donna era scandaloso, oggi solo Dio sa cosa lo è”, diceva nel 1934 il compositore americano Cole Porter.
I giovani fotografi scattavano immagini erotiche per arrotondare lo stipendio, le foto venivano poi firmate con un falso nome per salvaguardare la reputazione professionale e stare lontani dai guai con la legge… La legge di Pubblica Sicurezza emanata dal Regno d’Italia faceva esplicito divieto alle prostitute di abitare presso un dagherrotipista (chi usava la dagherrotipia, una tecnica di sviluppo e stampa di immagini. Le immagini sviluppate con questa tecnica non erano riproducibili una seconda volta. Il nome della tecnica deriva dal suo inventore, Daguerre).
In Gran Bretagna nel 1857 viene emanato un provvedimento denominato Obscene Publications Act nel tentativo di contrastare il dilagare di immagini “oscene ed immorali”, ma la prima presa di posizione ufficiale che si rivolge specificamente contro la fotografia pornografica è dello Stato Pontificio: il 28 novembre 1861 il Cardinale Vicario della Santa Sede, Costantino Patrizi, emana un atto legislativo nel quale si stabilisce non solo che l’esercizio della fotografia come professione deve essere subordinato ad uno specifico nulla osta rilasciato dall’autorità di polizia, ma che deve essere autorizzato anche il semplice possesso di una fotocamera.
La storia artistica ci tramanda che la prima modella a posare nuda fu l’attrice, pittrice e poetessa Adah Isaacs Menken. Prima del 1839 la rappresentazione della nudità consisteva generalmente in dipinti, disegni e incisioni. Gli artisti adottarono presto la tecnologia fotografica come un nuovo modo di rappresentazione del corpo umano, allora esclusivamente rivolto al genere femminile; almeno inizialmente cercarono di seguire gli stili e le tradizioni della forma d’arte anche se il realismo di una fotografia entrava parzialmente in contrasto con l’idealismo di un dipinto, facendone così opere intrinsecamente erotiche. (Adah Isaacs Menken)
E’ evidente che la fotografia, per la sua possibilità di riprodurre un soggetto reale, da un punto vista diciamo “voyeuristico” era largamente preferibile a qualsiasi altro tipo di rappresentazione iconografica, ma la diffusione era abbastanza limitata in quanto il procedimento non utilizzava negativi. Ogni copia era ricavata fotografando l’immagine originale, il cui tempo di esposizione andava dai tre ai quindici minuti, rendendo il tutto quindi abbastanza difficoltoso per la ritrattistica. Dal momento che anche una sola di queste foto poteva costare lo stipendio di un’intera settimana, il pubblico dei nudi era per lo più costituito da artisti e da membri di ceto elevato della società. Col tempo la tecnica fotografica superò la limitazione dell’esemplare unico rappresentato dal dagherrotipo e quindi si realizzò con una sola posa un numero altissimo di copie, che consentì di abbassare notevolmente i costi e di diffondere il business della fotografia erotica.
Parigi divenne il centro di questo commercio, spesso prodotte in serie di 4, 8 o 12, le foto venivano vendute anche da commessi viaggiatori presso le stazioni ferroviarie o da donne per la strada che le nascondevano sotto gli abiti; giungevano infine anche ad esser esportate a livello internazionale in Inghilterra e negli Stati Uniti. Il mercato rimase per anni clandestino e le attività di realizzazione e di commercio venivano effettuate di nascosto per sfuggire alle proibizioni di legge e quindi alle eventuali condanne penali. Venivano definite come cartoline, ma il loro scopo primario non era per l’invio per posta, perché sarebbero state immediatamente bloccate. Julian Mandel divenne noto negli anni venti e trenta per le sue raffinate fotografie di nudi femminili: le modelle si trovano spesso in pose classiche altamente organizzate, fotografate sia in studio che all’aperto. Le immagini sono composte ad arte, con toni raffinati e un uso morbido dell’illuminazione mostrando una particolare texture creata dalla luce piuttosto che dall’ombra.
Molte fotografie di questo periodo sono state intenzionalmente danneggiate. Bellocq, per esempio, spesso graffiava i volti dei suoi soggetti per oscurarne le vere identità; alcune delle sue “sitters” sono state fotografate mentre indossano maschere. Anche Edward Weston, che operò in California negli anni venti e trenta, era costretto a fotografare le sue modelle senza mostrare i loro volti.
Una curiosità: negli anni quaranta venne coniata la parola pin up (dall’inglese “pinned up”, cioè puntare su) con cui si indicavano le donne in costume da bagno rappresentate su riviste o calendari.
Nel dicembre del 1953, negli Stati Uniti uscì il primo numero della rivista Playboy, in cui compariva anche Marilyn Monroe.